venerdì 30 ottobre 2009

L'ASTROFILO: le sorprese raddoppiano


Con l'uscita del numero 12 la rivista L'Astrofilo festeggia il primo anno di pubblicazioni. Distribuita gratuitamente per via telematica a tutti quelli che si registrano al suo sito ha rappresentato fin dalla sua prima uscita una vera rivoluzione nel panorama della divulgazione scintifica e astronomica in Italia. Il rigore con cui gli argomenti sono trattati si coniuga magnificamente con la comprensibilità e la chiarezza dell'esposizione; lo spazio (ampio) riservato alle attività dei gruppi di appassionati si affianca a quello, altrettanto consistente, delle prove strumentali, delle tecniche di osservazione, delle esperienze degli astrofili. Soprattutto, caso forse unico nella editoria scientifico - divulgativa italiana, la rivita è distribuita assolutamente gratis: niente abbonamenti, niente difficoltà nel reperirla nelle edicole, niente carta inutile stampata per non essere letta e per venire poi buttata (la natura ringrazia!). Nel numero di novembre, già on line, oltre alle effemeridi del mese e le classiche rubriche, è possibile leggere tra gli altri un bellissimo articolo di Andrea Simoncelli che, con il corredo di meravigliose immagini, ci conduce alla scoperta della Via Lattea. Ma le sorprese non finiscono qui. Nell'interessante editoriale di Michele Ferrara, lucida lettura del non felicissimo momento in cui si trova il mondo dell'editoria scientifica e quello dell'astrofilia italiana, viene annunciato l'inizio delle pubblicazioni, a partire dal prossimo numero, sempre per via telematica e sempre assolutamente gratis, di una serie di fumetti scientifici prodotti da università americane e giapponesi. L'obiettivo è quello di raggiungere e coinvolgere nella scoperta della natura e della scienza anche i più piccoli, spesso trascurati dagli editori, pronti piuttosto a proporre loro storie di maghi e fate piuttosto che condurli lungo i sentieri della conoscenza. Un primo, importante passo per colmare una lacuna nella divulgazione scientifica italiana.

giovedì 29 ottobre 2009

Uno scrigno prezioso


Gli ammassi aperti sono fra gli oggetti celesti più belli. Costituiti da poche decine fino a qualche migliaio di stelle debolmente legate dalla mutua gravità, la loro visione binoculare o telescopica ci regala lo scintillante spettacolo di grappoli di stelle proiettate contro uno sfondo scuro. Lostudio degli ammassi aperti è però importante anche da un punto di vista scientifico. Le stelle che lo compongono sono nate tutte assieme dalla stessa nube di gas. Di conseguenza l'età e composizione chimica è la stessa per tutte le stelle di uno stesso ammasso e, dunque, osservandone le caratteristiche è possibile ottenere importanti informazioni sui processi evolutivi stellari. Uno fra i più spettacolari ammassi aperti, visibile anche a occhio nudo dai cieli dell'emisfero australe, è NGC 4755 soprannominato lo Scrigno. Dista 6400 anni luce e le sue stelle si sono formate circa 16 milioni di anni fa. Il nome gli fu dato da John Herschel che nel 1830 lo osservò rimanendo colpito dall'eccezionale bellezza delle sue stelle blu e rosse che gli ricordavano appunto dei gioielli custoditi in un scrigno. Oggi, a 180 anni dalle prime osservazioni di Herschel, possiamo condividere la sua meraviglia e ammirazione osservando NGC 4755 ripreso dai telescopi dell'ESO che operano sotto i bui cieli del Cile. Grazie alla Wide Field Imager applicata al telescopio di 2,2 metri e allo spettrografo FORS1 del Very Large Telescope gli astronomi dell'ESO hanno ottenuto delle spettacolari immagini che ci restituiscono l'ammasso in tutta la sua sfolgorante bellezza.
Credit: ESO/Y. Beletsky

giovedì 22 ottobre 2009

Gli ingredienti della vita su un pianeta extrasolare


Le osservazioni congiunte dei due telescopi spaziali Hubble e Spitzer hanno permesso a un gruppo di astronomi guidato da Mark Swain di rilevare la presenza delle molecole di acqua, metano e anidride carbonica nell'atmosfera di un pianeta extrasolare distante 150 anni luce. HD 209458b, questo la sigla con la quale viene identificato il pianeta, è un un gigante gassoso di dimensioni e massa maggiori di quelle di Giove che ruota attorno alla sua stella su un'orbita molto stretta. Di conseguenza, la sua temperatura è molto elevata tanto da renderlo assolutamente inadatto alla vita. Eppure la scoperta di queste molecole, fondamentali in tutti i processi biologici, è molto importante ai fini della comprensione dei meccanismi che possono portare alla nascita della vita altrove nell'universo. "E' il secondo pianeta fuori dal sistema solare nella cui atmosfera sono state rilevate le molecole di acqua, metano e anidride carbonica. - afferma Swain - Ciò fa aumentare di molto le possibilità di trovare pianeti in cui la presenza di queste molecole e un ambiente più favorevole possono aver portato alla formazione della vita." Le molecole in questione erano già state rilevate attorno al pianeta extrasolare HD 189733b. Nel caso di HD 209458b, però, la quantità di metano rilevata risulta essere maggiore e questo, come afferma Swain, "è importante, se non altro per comprendere i meccanismi di formazione del pianeta." La ricerca di mondi in grado di ospitare la vita proseguirà anche con l'ausilio di nuove tecniche di rilevazione e dell'osservatorio spaziale Kepler, appositamente progettato e realizzato per scoprire pianeti rocciosi di taglia terrestre.

Credit: NASA/JPL-Caltech

mercoledì 14 ottobre 2009

Una piccola ma stupenda galassia


Ad appena 1,6 milioni di anni luce di distanza, NGC 6822 è una delle galassie a noi più vicine. Insieme alla Via Lattea, alla galassia di Andromeda, a quella del Triangolo e a un'altra decina appartiene al Gruppo Locale. Le sue dimensioni sono estremamente ridotte se confrontate con quelle della nostra galassia, tanto da farla classificare come galassia nana irregolare. Eppure, l'immagine ottenuta col telescopio di 2,2 metri dell'ESO che opera sotto i bui cieli di La Silla in Cile ce la restituisce in tutta la sua sfolgorante bellezza. Le nebulose di colore rosso evidenziate nell'immagine sono regioni di intensa formazione stellare, mentre altre nebulose gassose sono illuminate dalla impetuosa radiazione emessa dalle numerose stelle neonate. Le galassie nane pur essendo di dimensioni molto ridotte rappresentano la tipologia di galassia più diffusaa. Il loro studio è importante perchè ci fornisce importanti indicazioni sui meccanismi di interazione fra galassie responsabili, fra l'altro, della loro forma irregolare.
Credit: ESO


Nel filmato realizzato dall'ESO NGC6822 ci viene mostrata in tutta la sua stupefacente bellezza.
Credit: ESO, Digitized Sky Survey 2, A. Fujii

martedì 13 ottobre 2009

L'anello gigante di Saturno


"E' un anello di dimensioni enormi. Se fosse visibile da Terra si estenderebbe per ben due volte il diametro della Luna piena." Anne Verbiscer dell'Università della Virginia non nasconde la sorpresa per il nuovo anello di Saturno che è stato recentemente scoperto dal telescopio spaziale Spitzer che osserva nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Il diametro da lato a lato è, infatti, di oltre 300 diametri di Saturno e anche il suo spessore, a differenza dei sottili anelli fino ad ora conosciuti, è notevole: circa 20 diametri planetari. Infine, a completare il peculiare quadro che lo caratterizza, c'è anche l'inclinazione di circa 27° rispetto al piano degli anelli noti. Il bordo interno del nuovo anello gigante inizia a 6 milioni di chilometri dal pianeta e si estende per altri 12 milioni di chilometri verso l'esterno: davvero dimensioni incredibili. Le osservazioni condotte da Spitzer hanno permesso di accertare che l'anello è costituito principalmente da polveri, probabilmente eiettate a seguito di impatti di comete sulla superficie del satellite Phoebe che, infatti, orbita proprio al suo interno. Il nuovo arrivato nel complesso sistema di Saturno può inoltre fornire una spiegazione a un vecchio mistero che riguarda un altro satellite, Giapeto. Già al tempo della sua scoperta, infatti, si è osservato che Giapeto presenta la peculiare caratteristica di possedere un emisfero, quello che avanza nel suo moto di rotazione, molto scuro e l'altro invece estremamente chiaro. Quale la causa di questa doppia faccia? Ebbene, confermando ipotesi già avanzate, potrebbe essere proprio il materiale disperso da Phoebe che costituisce il nuovo anello ad accumularsi progressivamente sull'emisfero di Giapeto che avavnza durante la sua rotazione, conferendogli il colore scuro.
Credit:
NASA/JPL-Caltech/Keck
Spitzer: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Virginia; Hubble: NASA/ESA/STScI/AURA

sabato 10 ottobre 2009

LCROSS: riuscito perfettamente l'impatto con la Luna


Ha percorso circa 9 milioni di chilometri in una missione iniziata 113 giorni fa, insieme alla sonda gemella LRO, lo scorso 18 giugno. Quasi 4 mesi di missione per prepararsi all'impatto finale contro la superficie lunare allo scopo di studiarne, attraverso l'analisi della nume di detriti che si è sollevata, la composizione e di accertare definitifamente la presenza di acqua. Quella di LCROSS (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite) è stata una missione importante non solo per aumentare le nostre conoscenze sulla Luna ma anche per preparare la strada alle future missioni con equipaggio con destinazione il nostro satellite. "Gli strumenti a bordo di LCROSS hanno funzionato perfettamente - spiega Anthony Colaprete, ricercatore della NASA e responsabile scientifico della missione - La grande quantità di dati sarà ora oggetto di analisi e studio da parte dei ricercatori." Il cratere Cabeus scelto quale bersaglio dell'impatto si trova in prossimità del polo sud lunare. Le sue pendici interne si trovano costantemente in ombra ed è quindi più alta la probabilità di trovarvi acqua sotto forma di ghiaccio. Inoltre il cratere presentava le migliori condizioni di visibilità al momento dell'impatto per tutti coloro che osservavano dalle coste occidentali degli Stati Uniti e dalle Hawaii. L'impatto è stato seguito dai maggiori telescopi sia da Terra che dallo spazio ed è stato osservabile anche dagli appassionati con piccoli strumenti.

Nel video della NASA le fasi finali della missione e lo schianto della sonda contro la superficie lunare.
Credit: NASA




mercoledì 7 ottobre 2009

Venerdì l'impatto della sonda LCROSS sulla Luna


E' fissato per venerdì 9 ottobre alle 14.30 ora americana l'impatto della sonda LCROSS sulla superficie lunare. L'impatto è stato programmato dai ricercatori della NASA allo scopo di studiare la composizione del suolo della Luna e, in particolare, per trovare conferme alla recente scoperta di acqua contenuta nelle rocce seleniche e di stimarne le quantità. Lanciata con una razzo Centaur nello scorso mese di giugno insieme alla sonda gemella LRO che sta mappando e analizzando la superficie della Luna, LCROSS (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite) è stata progettata e costruita proprio allo scopo di rilevare, per mezzo di un impatto programmato, la composizione e la consistenza del suolo lunare. L'analisi della nube di detriti che si solleveranno a seguito dell'impatto prima con l'ultimo stadio del razzo Centaur e poi con la stessa LCROSS consentirà di comprendere e studiare la composizione del suolo lunare e di accertare in via definitiva la presenza di acqua. Il cratere bersaglio è stato scelto sia perchè prossimo al polo sud, lì dove resta perennemente in ombra e più elevata è la probabilità di trovare ghiaccio d'acqua, sia perchè offre le migliori condizioni di visibilità per gli appassionati che osservano dalle coste occidentali degli Stati Uniti e dalle Hawaii. L'evento, infatti, sarà seguito dagli astronomi professionisti che impiegheranno i migliori telescopi sia dallo spazio che sulla Terra, ma sarà osservabile anche dagli appassionati con strumenti modesti.

Credit: NASA

venerdì 2 ottobre 2009

Un sistema planetario in formazione


LRLL31 è una giovane stella di non più di qualche milione di anni di età che si trova, a circa mille anni luce di distanza, nella ricca regione di formazione stellare IC348 nella costellazione di Perseo. Come molte giovani stelle, LRLL31 è circondata da un disco di polveri e detriti nel quale sono in svolgimento processi di formazione planetaria. I pianeti si formano, infatti, per aggregazione successiva di detriti via via di dimensione maggiore all'interno dei dischi che circondano le stelle neonate. Ruotando attorno alla stella e aumentando progressivamente le proprie dimensioni il protopianeta scava una sorta di solco nel disco fino a ripulire completamente la propria orbita. Il processo è molto lento, tanto che i tempi per la formazione di un sistema planetario sono stimati nell'ordine delle decine di milioni di anni. Per questo motivo ha sorpreso molto gli astronomi ciò che ha osservato il telescopio spaziale Spitzer, che opera nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico, nel disco di LRLL31. Gli strumenti hanno, infatti, rilevato nel corso di 5 mesi di osservazioni delle rapide variazioni dell'intensità e della lunghezza d'onda della radiazione infrarossa emessa dal disco protoplanetario che circonda la giovane stella. Le variazioni avvengono in tempi decisamente brevi, dell'ordine anche di una sola settimana. Un strano comportamento se si pensa ai lunghi tempi necessari ai processi di accrescimento planetario. Il gruppo di astronomi guidato da James Muzerolle autore della scoperta ha però elaborato un modello in grado di dar conto del comportamento osservato. I ricercatori ipotizzano infatti la presenza di un compagno di LRLL31, un grosso pianeta o una stella, che orbita a una distanza non superiore a 15 milioni di chilometri. La presenza del compagno induce nel disco variazioni consistenti dello spessore con ricadute sia sull'intensità che sulla lunghezza d'onda infrarossa emessa. Un modello che sarà oggetto di ulteriori verifiche nel corso di campagne osservative pianificate dal gruppo di Muzerolle utilizzando sia telescopi da Terrra che lo stesso Spitzer che ha ormai iniziato la fase di operatività "calda" dopo che è andato esaurito il refrigerante utilizzato per raffreddare i rilevatori di bordo durante i primi anni della missione.

Credit: NASA/JPL-Caltech/R. Hurt (SSC)