lunedì 30 novembre 2009

Con "L'Astrofilo" il primo dei fumetti scientifici


E' già on line, scaricabile gratuitamente collegandosi al sito della rivista, il numero 13 de "L'Astrofilo", la rivista degli appassionati di astronomia. Con il numero di dicembre, ricco come sempre di articoli e rubriche, c'è anche la sorpresa già annunciata lo scorso mese: il primo dei fumetti educativi che accompagneranno per nove mesi le uscite de "L'Astrfilo". In questo primo numero si raccontano gli effetti del Sole e delle attività umane sull'atmosfera, sul clima, sull'ambiente in generale. Un modo nuovo, più diretto e coinvolgente per parlare di scienza ai più giovani, nel tentativo di colmare una grave lacuna nel mondo dell'editoria scientifica italiana.

venerdì 27 novembre 2009

I "mattoni" della Galassia

La Via Lattea, così come le altre galassie, ha assunto il suo attuale aspetto nel corso dei miliardi di anni di vita, durante i quali è andata incontro a passaggi ravvicinati, con altre galassie, a processi di fusione (merging), a modifiche morfologiche più o meno radicali. Compito degli astronomi è anche quello di mettere insieme i pezzi che compongo la lunga storia evolutiva delle galassie attraverso lo studio degli ammassi del bulge, cioè il rigonfiamento centrale delle galassie, o dei globulari dell'alone, la loro parte più esterna. E' quello che ha fatto un gruppo di astronomi guidato da Francesco Ferraro dell'Università di Bologna che ha sfruttato le eccezionali capacità dell'ottica adattiva del Very Large Telescope dell'Eso per studiare Terzan 5, un ammasso nascosto dagli spessi strati di polveri e gas che risiedono nel bulge galattico. "Solo grazie alle potenzialità del VLT - afferma Barbara Lanzoni, co-autrice della ricerca - siamo riusciti a penetrare la nebbia che avvolge il bulge, ricavando importanti informazioni sulla sua natura e struttura." Quello che i ricercatori hanno scoperto è stato non solo che Terzan 5 ha una massa superiore a quella che si sospettava, ma anche che le stelle che lo compongono non sono nate tutte assieme, ma appartengono ad almeno due generazioni successive, la prima che può essere fatta risalire a 12 miliardi di anni fa, la seconda, più giovane, a 6 miliardi di anni fa. "Generazioni diverse di stelle erano state osservate a oggi solo nell'ammasso globulare Omega Centauri - afferma Emanuele D'Alessandro, un altro degli autori della ricerca - E' la prima volta che le si osserva in un oggetto del bulge galattico." La scoperta è importante perchè fornisce importanti informazioni sui processi evolutivi che hanno forgiato, nel corso di miliardi di anni, le galassie. In particolare, alla luce di quanto osservato dai ricercatori italiani, si pensa che Terzan 5 possa essere quello che resta di una protogalassia inglobata dalla Via Lattea nelle fasi iniziali della sua vita e che è andata poi a contribuire alla formazione del bulge galattico.

Credit: ESO/ F. Ferraro

Verso Terzan 5 - ESO video

mercoledì 25 novembre 2009

Un nuovo look per il sito de "L'Astrofilo"


In poco più di un anno dalla sua prima uscita si è già imposta quale riferimento per tutta la comunità degli appassionati di astronomia. La rivista "L'Astrofilo", prima a essere distribuita per via telematica e prima anche a essere assolutamente gratuita, si presenta ogni mese ricca di contenuti per gli esperti o per chi è alle prime armi, capace di comiugare il rigore scientifico della trattazione con la semplicità e la chiarezza del linguaggio. In più, da oggi è on line il nuovo sito della rivista. Oltre a un look più accattivante, collegandosi al sito i lettori troveranno una ricca sezione con le ultime notizie dal mondo della ricerca e un'altra con gli appuntamenti, particolarmente numerosi, organizzati in tutti Italia dalle associazioni. Oltre naturalmente ad avere la possibilità di scaricare gratuitamente tutti i numeri della rivista già pubblicati.

sabato 21 novembre 2009

L'ultimo pasto della galassia

La forma peculiare della galassia NGC 5128, conosciuta anche come Centaurus A, fu notata anche da John Herschel che nel 1847 la inserì nel suo catalogo di nebulose del cielo australe. Si tratta di una galassia ellittica gigante, distante circa 11 milioni di anni luce nella costellazione del Centauro. Al suo centro risiede un buco nero supermassiccio di circa 200 milioni di masse solari. Si tratta, dunque, di un buco nero 50 volte più massiccio di quello ospitato al centro della Via Lattea e che viene continuamente alimentato da grandi quantità di materia risucchiata dalla sua enorme forza di gravità. Questo continuo flusso di materia è all'origine delle intense emissioni radio che ne fanno uno degli oggetti più luminosi in questa regione dello spettro elettromagnetico (di qui il nome di Centaurus A con cui è pure conosciuta). Il suo aspetto, allo stesso tempo bello e spettacolare, è dovuto principalmente a una vasta banda opaca di polveri e gas che copre la parte centrale della galassia. Già da tempo si riteneva che la banda si sia formata a seguito di un processo di fusione (merging) verificatosi tra 200 e 700 milioni di anni fa con una più piccola galassia a spirale ricca di polveri. A seguito della fusione si sono innescati all'interno di Centaurus A intensi processi di formazione stellare. Infatti, lo scontro e la fusione di galassie, fenomeni abbastanza comuni e diffusi nell'universo, lungi dall'essere eventi distruttivi, sono al contrario in grado di innescare i processi che conducono alla formazione di nuove generazioni di stelle. Precedenti osservazioni condotte con telescopi sia da Terra che dallo spazio avevano già permesso di individuare quelli che si ritiengono essere i resti della galassia spirale divorata da Centaurus A. La conferma è giunta, però, grazie a una nuova tecnica di osservazione messa a punto dai ricercatori dell'ESO che ha permesso di penetrare all'interno della coltre di polveri che oscura il centro della galassia e di osservare per la prima volta i resti distorti e smembrati della galassia divorata. Gli astronomi dell'ESO, guidati da Joini Kainulainen, hanno utilizato il telescopio NTT di 3,5 metri che opera da La Silla in Cile. Combinando immagini ottenute in varie bande è stato possibile osservare "... in grande dettaglio, un evidente anello di stelle e ammassi oltre la banda oscura." La ricerca è importante non solo per comprendere meglio i meccanismi di fusione fra galassie, ma anche perchè la tecnica utilizzata con successo per Centaurus A potrà trovare ampia applicazione con la nuova generazione di telescopi giganti la cui realizzazione è prevista, sia a Terra (l'Extremely Large Telescope di 42 metri dell'ESO) che nello spazio (lo James Webb Space Telescope della NASA), per i prossimi decenni.
Credit: ESO


Uno splendido video dell'ESO che ci porta verso Centaurus A

venerdì 20 novembre 2009

Un super bolide sui cieli del West


Autore: Michele Ferrara


Proprio mentre andavano spegnendosi le ultime fiammelle delle Leonidi, un superbolide ha incendiato i cieli degli Stati Uniti occidentali, in particolare Colorado, Utah, Wyoming e Idaho. Era da poco passata la mezzanotte locale fra 17 e 18 novembre, quando di colpo la notte si è trasformata in giorno, come riportato da numerosi testimoni, la cui attenzione è stata inizialmente attratta dal luminosissimo superbolide, che dopo un apparentemente breve percorso è esploso producendo un flash che ha illuminato ogni cosa, ridando al cielo la tipica colorazione azzurra del giorno, tanto che i sensori di buio dell'illuminazione pubblica hanno spento i lampioni. Sei ore dopo, all'alba, in direzione della zona celeste interessata dall'esplosione, era ben visibile un'insolita nuvola dalla struttura circolare.
Dalle prime analisi si è appurato che il corpo progenitore del superbolide aveva dimensioni comprese fra quelle di un forno a microonde e quelle di una lavatrice, e non apparteneva allo sciame delle Leonidi, era bensì un oggetto isolato, cosa abbastanza tipica quando si producono fenomeni di questo genere. L'esplosione è avvenuta poco oltre i 100 km di quota e l'energia scatenata è stata di 0,5-1,0 kiloton, quindi molto meno potente di quella avvenuta sull'Indonesia alla fine dello scorso ottobre. Circa 5 minuti dopo il flash dell'esplosione, i testimoni hanno udito un rombo e un leggero scuotimento dell'aria e del suolo. In diversi hanno anche segnalato una frammentazione in almeno cinque pezzi principali ed è già iniziata la caccia ad eventuali meteoriti.

Credit: bbc.co.uk

sabato 14 novembre 2009

Sulla Luna l'acqua c'è e (finalmente!) si vede



In una sera di fine novembre di 400 anni fa Galileo Galilei puntò il suo cannocchiale verso la Luna. Per la prima volta il nostro satellite, che per millenni aveva custodito gelosamente i misteri sulla sua vera natura, composizione e aspetto, iniziò a rivelarsi all'indagine scientifica. Da quelle prime osservazioni con un rudimentale strumento ottico l'uomo ha fatto passi da gigante nello studio e nella conoscenza della Luna, arrivando anche a calpestarne il polveroso suolo in una notte di luglio di 40 anni fa. Oggi, quasi a voler celebrare nel più degno dei modi questi anniversri, la NASA ha dato l'annuncio di una delle più importanti scoperte relative al nostro satellite: l'acqua, di cui pure era stata recentemente accertata la presenza grazie all'individuazione di significative quantità di idrogeno, è copiosamente e diffusamente presente sotto forma di ghiaccio nel sottosuolo lunare delle regioni perennemente in ombra nei pressi del polo sud. La scoperta, frutto dell'analisi dei dati raccolti nel corso della missione LCROSS (Lunar Crater Observatione and Sensing Satellite), è di straordinaria importanza: il ghiaccio presente nel sottosuolo lunare rappresenta, infatti, non solo uno eccezionale giacimento di acqua da sfruttare in future missioni spaziali, ma, come per i ghiacci artici terrestri, è uno fondamentale strumento di indagine sulla storia e l'evoluzione del nostro satellite poichè conserva le traccie degli eventi che lì si sono verificati nel corso di miliardi di anni. "Stiamo svelando i misteri della Luna e, di conseguenza, del sistema solare" afferma con orgoglio il ricercatore della NASA Michael Wargo. "Siamo semplicemente estasiati" gli fa eco Antony Caloprete, responsabile scientifico della missione, che nel corso di una conferenza stampa ha presentato i risultati ottenuti dall'analisi dei dati raccolti da LCROSS. Lanciata il 18 giugno 2009 insieme all'altra sonda LRO pure destinata a studiare il nostro satellite, LCROSS ha percorso complessivamente 9 milioni di chilometri prima di schiantarsi, insieme all'ultimo stadio del razzo vettore che l'ha trasportata verso la Luna, all'interno del cratere Cabeus, in prossimità del polo sud lunare, lì dove i raggi del Sole non riescono mai a illuminarne i ripidi pendii. L'impatto è avvenuto lo scorso 9 ottobre, dopo 113 giorni di missione. A seguito dello schianto si è sollevata un'enorme nube di polveri e vapore, mentre una seconda colonna di detriti più pesanti si è formata con un'angolazione minore rispetto alla superficie lunare. L'analisi spettroscopica condotta sia in banda infrarossa che ultravioletta ha permesso di accertare l'inequivocabile presenza di abbondanti quantità di acqua in entrambi i pennacchi sollevatisi, mettendo così fine a uno dei misteri della Luna da sempre ritenuta un luogo arido e desolato. L'analisi dei dati raccolti da LCROSS proseguirà ora per meglio comprendere quale sia la distribuzione dei giacimenti di ghiaccio nel sottosuolo lunare.

Credit: NASA

venerdì 13 novembre 2009

La sonda Rosetta e le misure di gravità

di Michele Ferrara - "L'Astrofilo"


Oggi, 13 novembre, la sonda Rosetta ha effettuato l’ultimo di tre gravity assist con la Terra e si è così immessa nella traiettoria che la porterà a visitare prima l’asteroide (21) Lutetia, nell’estate del 2010, e poi la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko nel 2014. Ma di per sé questa non è una notizia. Il vero motivo per cui questo passaggio della sonda Rosetta è degno di interesse va ricercato nel fatto che l’analisi delle misure ricavate sulla sua velocità, prima e soprattutto dopo il flyby, potrebbe finalmente consentire al mondo scientifico di far luce su un vero e proprio mistero che da una ventina d’anni arrovella le menti degli addetti ai lavori, ovvero quelle differenze di velocità, in meno o in più rispetto al valore previsto da accuratissimi calcoli, palesate da varie sonde che hanno usufruito nel passato del gravity assist con la Terra. Si tratta di differenze infinitesime ma pur sempre misurabili e discriminabili da qualunque errore strumentale. Per fare degli esempi, la sonda Galileo mostrò nel 1990 un’accelerazione inattesa di 3,9 mm/s; la NEAR nel 1998 di 13,0 mm/s; al contrario nessuna significativa variazione imprevista fu registrata dopo i flyby della Cassini e della MESSENGER. Anomalie simili (però negative) erano già state verificate per le sonde Pioneer 10 e 11, anche se in contesti diversi, ma in ogni caso non c’è ancora una spiegazione e quindi nemmeno la possibilità di prevedere se e di quanto risulterà accelerato o decelerato il moto della Rosetta dopo il passaggio odierno, ovviamente al di là di quella che è l’accelerazione prevista dai calcoli. Tuttavia, a differenza di occasioni precedenti, questa volta sono impegnati nelle misure una gran quantità di radiotelescopi, tutti al meglio delle loro potenzialità, e gli scienziati coinvolti nelle misurazioni confidano nella possibilità di raccogliere indizi sufficienti a risolvere il problema. Fra le varie soluzioni finora avanzate (escludendo chiaramente errori strumentali e problemi al software) troviamo riferimenti a sconosciuti effetti indotti dalle forze mareali terrestri, dal frenamento atmosferico, dalla pressione di radiazione del nostro pianeta, e si arriva a tirare in ballo materia oscura, energia oscura e addirittura anomalie spazio-temporali generate dalla rotazione terrestre. E’ quindi comprensibile l’elevato livello di attenzione che è stato dato a quest’ultimo passaggio della sonda Rosetta. Un interesse che va ben al di là della notizia in sé.
Credit: ESA ©2009 MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/RSSD/INTA/UPM/DASP/IDA

sabato 7 novembre 2009

L'atmosfera di carbonio della stella di neutroni


Dieci anni fa, nel 1999 il trelescopio spaziale Chandra della Nasa che opera nella regione X dello spettro elettromagnetico iniziava le sue osservazioni. Il primo oggetto a essere ripreso fu Cassiopea A (Cas A), il resto di una supernova esplosa nella nostra galassia circa 330 anni fa. In quella prima immagine era chiaramente visibile la stella di neutroni che si formò a seguito dell'esplosione della supernova di cui Cas A è ciò che rimane. Ma a differenza di quanto succede per le altre stelle di neutroni fino ad allora note, quella al centro di Cas A non mostrava alcuna delle tipiche pulsazioni radio o X. Un gruppo di ricercatori guidato dagli astronomi Wynn Ho e Craig Heinke ha però elaborato un modello in grado di risolvere questo piccolo mistero. "La stella di neutroni al centro di Cas A - afferma Wynn Ho - è stata un enigma fin dalla sua scoperta. Finalmente però abbiamo capito che il suo comportamento può essere compreso ipotizzando che la stella sia uniformemente avvolta in una sottile atmosfera di carbonio." Grazie agli spettri ottenuti da Chandra il modello proposto ha trovato conferma. Esso prevede che la sottile atmosfera di carbonio, spessa appena 10 centimetri schiacciata com'è da una gravità 100 miliardi di volte più intensa di quella della Terra, fa in modo che la regione di emissione X si distribuisca uniformemente intorno alla stella che brilla così egualmente in tutte le direzioni senza alcuna rilevabile variazione in intensità legata alla sua rotazione. Lo studio delle stelle di neutroni è particolarmente importante ai fini della comprensione dei meccanismi di evoluzione delle stelle massicce e il modello proposto rappresenta un notevole contributo eliminando altre più esotiche spiegazioni che pure erano state proposte.

Credit: X-ray: NASA/CXC/Southampton/W. Ho et al.; Illustration: NASA/CXC/M.Weiss

mercoledì 4 novembre 2009

Il più distante ammasso di galassie


Combinando le immagini ottenute in banda X dal telescopio spaziale Chandra della NASA e nell'ottico dal VLT dell'ESO che opera sotto i bui cieli del Cile gli astronomi hanno individuato quello che pare essere il più distante ammasso di galassie. A circa 10,2 miliardi di anni luce di distanza e con un'estensione di almeno 190 milioni di anni luce, JKCS041, questa la sigla che lo identifica, appare già completamente formato in un'epoca in cui l'universo aveva solo un quarto della sua età attuale. Gli ammassi sono enormi agglomerati di centinaia o anche migliaia di galassie tenute insieme dalla reciproca gravità. La loro formazione è successiva a quelle delle galassie, in un'epoca il cui inizio gli astronomi collocano proprio intorno a 3,5 miliardi di anni dopo il big bang. JKCS041 si trova, dunque, proprio al limite dell'epoca di formazione degli ammassi. Per questo motivo, gli astronomi prima di annunciarne la scoperta, hanno dovuto escludere altre ipotesi come per esempio un casuale allineamento di galassie lungo la linea di vista. Sono state proprio le immagini X di Chandra a dare la conferma definitva che quello che si osserva è proprio un ammasso già completamente formato. L'emissione X proveniente da JKCS041 appare come una diffusa regione di colore blu nell'immagine a lato, mentre le singole galassie sono le macchiette bianche immerse nell'alone blu.

Credit: X-ray: NASA/CXC/INAF/S.Andreon et al Optical: DSS; ESO/VLT