Che massa può raggiungere una stella di Sequenza Principale? Almeno 200 masse solari! Ebbene sì. Dopo anni di studi alla ricerca di megastelle, dopo la scoperta di possibili candidati che si sono il più delle volte rivelati non singole stelle bensì stelle multiple, dopo che sembrava accertata l'inesistenza di astri oltre le 140 masse solari, limite oltre il quale (ma anche al di sotto del quale) le stelle perdono enormi quantità di materia, trasformandosi rapidamente in astri più normali, ecco che i risultati di uno studio accurato sulla supernova SN2007bi, pubblicati su Nature del 3 dicembre scorso, dimostrano che la stella progenitrice di quell'esplosione aveva la bellezza di circa 200 masse solari. Che la SN2007bi dovesse avere un progenitore particolarmente massiccio lo si era già sospettato per via della straordinaria luminosità raggiunta (50-100 volte più di una normale supernova), che aveva reso possibile studiarla per un periodo insolitamente lungo: un paio d'anni. Inoltre, vi erano teorie che da decenni prevedevano l'esistenza di megastelle. Quale miglior candidato? A studiarlo con i più potenti telescopi disponibili è stato un team internazionale di ricercatori guidato da Avishay Gal-Yam (Weizmann Institute of Science, Israel), team del quale ha fatto parte anche l'italiano Paolo Mazzali (in forza al Max-Planck Institute for Astrophysics). I risultati della ricerca sono molto interessanti perché svelano che le supernovae generate da oggetti oltre le 140-150 masse solari hanno un innesco totalmente diverso dalle supernovae per noi normali: in queste ultime, i processi di fusione termonucleare procedono fino alla sintesi del ferro, elemento che invece di concorrere alla produzione di elementi più pesanti e quindi nuova energia per sostenere la compressione della stella, richiede a sua volta energia, portando la stella al collasso. Nel progenitore del nuovo tipo di supernova, invece, quando la sintesi degli elementi porta il nucleo ad essere costituito prevalentemente di ossigeno, l'enorme pressione innesca un rilascio di fotoni estremamente energetici, che favoriscono la creazione di coppie elettroni/positroni. La successiva annichilazione delle due particelle produce uno scompenso nella pressione che dal nucleo sale verso gli strati esterni della megastella, che d'improvviso collassa innescando un'altrettanto improvvisa fusione dell'ossigeno che produce una tale energia da far esplodere totalmente l'astro, senza che rimanga nulla al suo posto, oltre alla materia eiettata in rapidissima espansione. Dunque, né buco nero né pulsar restano a testimonianza del collasso.Nell'universo attuale le megastelle dovrebbero essere molto rare, ma in quello primordiale rappresentavano probabilmente la popolazione più numerosa e con la loro esplosione hanno avviato l'arricchimento metallico del mezzo interstellare.
Credit: NASA/CXC/NCSU/S.Reynolds et al
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