venerdì 31 luglio 2009

On line il numero di agosto della rivista gratuita "L'Astrofilo"



E' online il numero 9 (agosto 2009) della rivista gratuita l'Astrofilo.
E' la seconda parte dello speciale sulla conquista della Luna.

Inoltre sono a disposizione di tutti 10 spettacolari vedute panoramiche ad altissima risoluzione del suolo lunare, realizzate a partire da immagini prese dagli stessi astronauti sbarcati sul satellite.

Disponibile anche uno sfondo per desktop in numerosi formati a tema lunare.

Per scaricare gratuitamente la rivista (tutti i numeri), le vedute panoramiche e gli sfondi: http://www.astropublishing.com/

Nel riquadro NEWS sono disponibili anche le effemeridi di agosto.

mercoledì 29 luglio 2009

Il volto di Betelgeuse


Il cielo invernale è inconfondibilmente caratterizzato dalla sagoma disegnata dalle brillanti stelle della costellazione di Orione. La spalla destra del cacciatore è individuata dalla brillante stella Betelgeuse, una supergigante rossa distante circa 600 anni luce. E' una stella di enormi dimensioni: ha un diametro mille volte più grande di quello del Sole e la sua massa è pari a venti masse solari. Pur avendo una temperatura superficiale molto bassa, circa 3500°K, le sue dimensioni la rendono particolarmente brillante, oltre 100mila volte più luminosa del Sole. Le supergianti rosse sono stelle il cui destino è inesorabilmente segnato dalla enorme massa. Per sostenere il loro stesso peso sono costrette a consumare tumultuosamente le proprie riserve di combustibile nucleare che si esauriscono nel giro di qualche milione di anni. Dopodichè esse vanno incontro a un destino drammatico, esplodendo come supernovae. Quando questo succederà a Betelgeuse, la stella sarà visibile anche in pieno giorno a causa della sua relativa vicinanza. Nel corso della loro vita le supergiganti rosse espellono grandi quantità di materia grazie a meccanismi che, però, non sono ancora completamente ben compresi. Allo scopo di svelare i processi evolutivi di questa classe di stelle, un team di astronomi guidato da Pierre Kervella ha utilizzato la straordinaria sensibilità del sistema di ottiche adattive del Very Large Telescope dell'ESO per osservare, con un dettaglio senza precedenti, la superficie di Betelgeuse. E' stato così possibile scoprire che l'emissione di materia dalla stella, che complessivamente è pari a circa una massa terrestre per anno, non avviene uniformemente con simmetria sferica ma è piuttosto concentrata in getti più o meno garndi, potendo estendersi a distanza pari a circa il diametro dell'orbita di Nettuno. Ciò può essere spiegato secondo Kervella sia considerando i moti convettivi del gas prodotti dall'elevata temperatura sia il pur lento moto di rotazione della stella.
Credit:
immagine in alto: ESO/L. Calçada
immagine in basso: ESO, P.Kervella, Digitized Sky Survey 2 and A. Fujii

martedì 28 luglio 2009

Una bolla fra le stelle


Guardando la splendida immagine ottenuta con il telescopio di 4 metri del Kitt Peak Mayall Observatory non si può fare a meno di pensare a una immensa bolla di sapone sospesa fra le stelle nelle immensità dello spazio. Si tratta, invece, di una delle nebulose planetarie che popolano la nostra galassia. Scoperta il 6 luglio 2008 da Dave Jurasevich nel corso di una campagna fotografica condotta col telescopio di Mount Wilson su una regione di spazio compresa nella costellazione del Cigno, la sua presenza fu confermata qualche giorno dopo dagli esperti astrofili Mel Helm e Keith Quattrocchi. Successivamente, analizzando vecchie lastre fotografiche, si è scoperto che era già stata ripresa anni prima nel corso di precedenti survey. La sua presenza è sempre sfuggita probabilmente a causa della debole luminosità. Le nebulose planetarie sono lo stadio finale del percorso evolutivo di stelle simili al Sole. Esaurito il combustibile nucleare che per qualche miliardo di anni ne ha assicurato la stabilità, queste stelle vanno incontro a una fase di forte instabilità durante la quale espellono gli strati di gas più esterni che vengono così dispersi nello spazio andando a formare quelle che chiamiamo, appunto, nebulose planetarie. Nel caso di PN G75.5+1.7, così è identificata la Bolla del Cigno, la peculiarità sta tutta nella sua forma perfettamente sferica. Infatti, in dipendenza dalla modalità con cui vengono espulsi i gas e dalla loro interazione col mezzo circostante, le nebulose planetarie si presentano generalmente con le forme più strane, ma quasi mai con una simmetria perfettamente sferica come quella di questa meravigliosa bolla cosmica.

Credit: Travis A. Rector/U of Alaska Anchorage/Heidi Schweiker/NOAO

sabato 25 luglio 2009

Hubble conferma l'impatto su Giove


Il 23 luglio scorso il telescopio spaziale Hubble ha fotografato con la nuova Wide Field Camera 3 il sito dell'impatto avvenuto su Giove alcuni giorni prima. Ad accorgersi di un'anomalia nell'atmosfera gioviana era stato Anthony Wesley, un astrofilo di Murrumbatenam (Canberra, Australia), esperto osservatore, il quale, fotografando il pianeta con un riflettore di 35 cm di diametro, aveva notato il 19 luglio una strana macchia scura verso il polo sud. Diffusa la notizia, sono iniziate le verifiche da parte di astronomi professionisti e in particolare c'è stata la conferma venuta dagli Osservatori delle Hawaii, che attraverso riprese effettuate con l’Infrared Telescope Facility hanno evidenziato una brillante regione proprio in coincidenza della macchia nera, segno di elevate temperature, spiegabili solo ipotizzando un impatto. L'ultima volta che accadde qualcosa di simile fu nel 1994, quando i frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 si schiantarono su Giove in rapida successione. All'epoca il telescopio spaziale Hubble produsse delle immagini eccezionali, che oggi sono il miglior termine di paragone per valutare il nuovo impatto. Non si sa esattamente se quest'ultimo sia avvenuto proprio il 19 luglio o, più probabilmente, qualche giorno prima, ma di sicuro sappiamo che l'oggetto impattato doveva avere un diametro di qualche centinaio di metri, e si trattava con ogni probabilità di un frammento di cometa, se non di asteroide. L'area atmosferica interessata dal fenomeno misura almeno 20 milioni di km quadrati, ovvero il doppio dell'Europa. Per farsi un'idea dell'interesse suscitato dal fenomeno, basti dire che il team dell'HST ha interrotto i test di calibrazione che stava effettuando sui nuovi strumenti installati lo scorso maggio, pur di puntare Giove e riprendere quelle che possono essere definite le prime immagini scientifiche della nuova WFC3.
Autore: Michele Ferrara
Credit: NASA, ESA, H. Hammel (Space Science Institute), and The Jupiter Impact Team

Un occhio nella notte


A metà dello scorso mese di maggio, il telescopio spaziale Spitzer ha cominciato la cosiddetta fase calda della propria missione. Spitzer, che opera nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico, in tutti gli anni di operatività è stato tenuto a temperatura molto bassa, il che ha consentito di ottenere le splendide immagini e gli eccezionali risultati scientifici cui ci ha abituati. Il raffreddamento era ottenuto grazie ha una sostanza refrigerante che abbassava la temperatura a pochi gradi sopra lo zero assoluto. Il refrigerante è, però, esaurito e con essa la fase fredda della missione che però proseguirà in modalità calda per i prossimi 5 anni. Una delle prime immagini della nuova fase della missione è stata quella di NGC 1097, una gigantesca spirale dalla peculiare forma a "occhio". La galassia è caratterizzata dall'ospitare al suo centro un colossale buco nero di massa pari ad almeno 100 milioni di masse solari, circondato da un anello di stelle, gas e polveri destinati a precipitarvi. La radiazione emessa dalle numerose stelle neonate rende visibili le grandi quantità di polveri, mentre, incastonata nelle spirali in alto a sinistra nell'immagine, c'è una galassia più piccola per la quale ancora non è stato possibile accertare l'associazione con NGC 1097 o se invece si tratta di un fortuito allineamento lungo la linea di vista.

Credit: NASA/JPL-Caltech/The SINGS Team (SSC/Caltech)

lunedì 20 luglio 2009

Apollo sulla Luna: FOTOGRAFATI!


Non poteva esserci miglior test per il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA, da qualche giorno in orbita attorno alla Luna, e non poteva esserci miglior regalo per quanti stanno celebrando i 40 anni della conquista della Luna: finalmente sono stati fotografati i siti di atterraggio della maggior parte dei moduli lunari degli Apollo, e sono perfino stati fotografati alcuni strumenti scientifici e addirittura le orme degli astronauti! Vedere per credere: le immagini qui presentate sono eloquenti.In tutte le immagini sono indicati dalla freccia i moduli di discesa, quelli che fungevano da rampa di lancio per la risalita degli astronauti in orbita lunare alla fine delle attività sulla superficie del satellite. Manca solo il sito di atterraggio dell’Apollo 12, che sarà fotografato entro questa settimana. La bassa altezza del Sole sull’orizzonte ha facilitato l’identificazione dei manufatti, ma si ritiene di poter migliorare ulteriormente la risoluzione allorché la sonda entrerà in piena operatività, infatti alcune delle immagini sono state prese quando la LRO non era ancora nella sua orbita di mappatura e quindi non poteva sfruttare appieno gli strumenti di bordo. Nondimeno sono già evidenti le potenzialità di questa nuova sonda, che sarà utilizzata per individuare con grande accuratezza i siti per gli sbarchi lunari delle future missioni con equipaggio.Le piccole differenze di risoluzione (e quindi di scala) fra le varie immagini sono dovute alla forma ellittica dell’orbita lunare descritta dalla LRO, e quindi al variare della sua distanza dalla superficie. Tutte le immagini sono comunque prossime alla risoluzione media di circa 1,2 m/pixel, con i moduli lunari che coprono un’area di 9 pixel, contrastata da un’ombra che a sua volta copre una ventina di pixel.
Michele Ferrara

giovedì 16 luglio 2009

L'Aquila maestosa




Ancora una spettacolare immagine di una regione di formazione stellare ottenuta con il telescopio di 2,2 metri dell'ESO a La Silla in Cile. Si tratta questa volta di M16, la Eagle Nebula, una vasta regione distante circa 7000 anni luce nella quale si stanno formando numerosissime nuove stelle. Le giovani e calde stelle neonate si raggruppano in ammassi, come il brillante NGC6611, al suo interno. Scoperta nel 1746 dall'astronomo svizzero Jean Philippe Loys de Chéseaux, fu inserita al numero 16 del suo catalogo da Charles Messier. La Eagle Nebula ebbe una certa notorietà nel 1995, quando il telescopio spaziale Hubble fotografò alcune spettacolari formazioni al suo interno. Si tratta dei famosi "pilastri della creazione", colonne di gas estese circa un anno luce che si elevano nella nebulosa, modellate dagli intensi venti stellari delle stelle neonate.

Credit: ESO, Hubble

domenica 12 luglio 2009

Il mistero della radiazione gamma nella Galassia


La presenza nell'universo della materia oscura viene ipotizzata dagli astronomi per dar conto di alcune anomalie cinematiche riscontrate nel moto delle stelle e delle galassie. Già verso il 1930 l'astronomo svizzero Fritz Zwicky notò che le stelle si muovono con velocità molto maggiori di quanto sarebbe lecito attendersi se la massa delle galassie cui appartengono fosse solo quella direttamente osservabile. Qualche decennio dopo un'analoga osservazione fu fatta relativamente alla velocità delle galassie all'interno degli ammassi. A meno di non dover rivedere la legge di gravitazione universale di Newton, nell'universo deve dunque esistere molta più materia di quanta non sia direttamente osservabile. A questa tipo di materia, la cui stessa esistenza oltre che la natura resta un mistero, viene dato il nome di "oscura" e secondo gli astronomi rappresenterebbe ben oltre il 20% degli interi costituenti l'universo, essendo la materia ordinaria appena il 4% e l'energia oscura, l'altro misterioso e ancora enigmatico ingrediente, ben il 75%. Non essendo direttamente rilevabile, la presenza della materia oscura viene dedotta dagli effetti gravitazionali che produce sulla materia ordinaria. Uno di questi era ritenuta la distribuzione di una particolare radiazione gamma diffusa in tutta la Via Lattea. La radiazione gamma in questione è quella che si sprigiona a seguito dell'annichilazione fra i positroni e gli elettroni. Il positrone è una particella elementare del tutto simile all'elettrone ( di cui è appunto l'antiparticella) se non per la carica elettrica positiva che possiede. I positroni si originano principalmente a seguito del decadimento radioattivo di alcuni isotopi di elementi pesanti come il nichel, l'alluminio e il titanio prodotti durante le esplosioni come supernovae di stelle massicce. Osservazioni condotte dall'osservatorio spaziale gamam INTEGRAL dell'ESA negli ultimi 5 anni hanno evidenziato un'anomalia nella distribuzione della radiazione gamma all'interno della Via Lattea. In particolare, in direzione del centro galattico la radiazione gamma appare essere ben oltre il 50% più intensa rispetto a quella che si rileva osservando in direzione del disco galattico. Tale anomalia nella distribuzione era ritenuta dagli astronomi come ulteriore elemento di prova a favore dell'esistenza della materia oscura. Conclusione che viene, però, messa in discussione da un recente lavoro di un gruppo di ricercatori guidato da Richard Rothschild, i quali, invece, ritengono che l'anomalia nella distribuzione della radiazione gamma possa più semplicemente essere spiegata considerando le modalità con cui il flussi di positroni si muovono attraverso la Galassia. "Infatti - spiega Rothschild - la metà dei positroni prodotti nelle regioni appartenenti al disco galattico si allontanano verso l'alone prima di essere annichiliti. Al contrario, quelli prodotti nelle vicinanze del bulge non riescono a sfuggire e pertanto subiscono l'annichilazione in quella stessa regione, dando conto così della più intensa radiazione gamma rilevata".
Credit: X-ray (NASA/CXC/CfA/E.O'Sullivan); Optical (Canada-France-Hawaii-Telescope/Coelum)

mercoledì 8 luglio 2009

E siamo a mille!

Più di mille contatti in poco più di cento giorni! E' il bel risultato di questo notiziario, nato senza pretese e senza mezzi, potendo contare solo su tanto entusiasmo e sull'interesse e la partecipazione che solo una disciplina come l'astronomia riesce a suscitare. Negli utlimi tre mesi sono stati 280 i lettori unici che si sono collegati al notiziario per oltre 1600 pagine visitate. E i contatti vengono no solo dall'Italia, ma anche da altri 15 Paesi: dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, dalla Germania alla Svizzera, dal Belgio, alla Spagna, Olanda, Portogallo, Canada, Austria, Albania, Bosnia, Ucraina, fino ai lontani Brasile e Messico. E per un piccolo notiziario in lingua italiana è un bel risultato ...

Grazie a tutti!!!

martedì 7 luglio 2009

Dove nascono le stelle


Scoperta nel 1745 dall'astronomo svizzero Jean-Philippe Loys de Chéseaux e, indipendentemente, qualche anno dopo dal francese Charles Messier che la inserì al numero 17 del suo catalogo, la Omega Nebula è una splendida nebulosa, facilmente osservabile anche con strumenti di medie dimensioni, sede di intensa attività di formazione stellare. Le sue dimensioni sono di circa 15 anni luce e al suo interno si stanno formando, con processi iniziati non più di qualche milione di anni fa, numerose nuove stelle. E sono proprio l'intensa radiazione e i forti venti stellari emessi dalle giovani e calde stelle a modellare e dare la forma alla nebulosa che, osservata in piccoli strumenti, somiglia all'ultima lettera dell'alfabeto greco (da qui il suo nome) o anche al lungo collo di un cigno (per questo è conosciuta anche come Swan Nebula). La speldida immagine a fianco e il video che ci conduce in un fantastico viaggio attraverso la Via Lattea fino in prossimità di M17 sono il frutto delle osservazioni condotte con il New Technology Telescope di 3,5 metri dell'ESO che opera da La Silla in Cile.

Credit: ESO

domenica 5 luglio 2009

LRO: le prime immagini dalla Luna






La Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), la sonda con la quale dopo quasi 30 anni la NASA ha ripreso l'esplorazione del nostro satellite, ha inviato le prime immagini ottenute con le camere che costituiscono la parte principale del suo carico scientifico. LRO ha ripreso alcuni crateri in una regione immediatamente a sud del Mare Nibium. La nitidezza e la risoluzione delle immagini parlano da solo e danno un'idea di quale potrà essere il contributo che la sonda darà al miglioramento delle nostre conoscenze sulla Luna. Scopo principale della missione è quello di procedere a una mappaturadella superficie lunare anche allo scopo di individuare quelli che potranno essere i siti più indicati per gli atterraggi delle future missioni con equipaggio previste entro il 2020. LRO, inoltre, condurrà esperimenti volti all'individuazione di risorse preziose, come ad esempio il ghiaccio d'acqua, e allo studio dell'ambiente lunare. Inoltre, dopo il lancio e l'immissione in orbita lunare, anche l'altra sonda della NASA, la Lunar CRater Observation and Sensing Satellite (LCROSS) è diventata operativa. Il prossimo 9 ottobre, dopo circa 100 giorni di studio, riprese e analisi del suolo lunare, la sonda sarà fatta precipitare sulla Luna. A seguito dell'impatto si solleverà un'enorme colonna di polveri e detriti dalla cui analisi, condotta da strumenti sia dallo spazio che da Terra, sarà possibile ricavare fondamentali informazioni sulla costituzione chimico fisica della superficie selenica.


Nelle immagini al lato sono visibili le regioni riprese dalla sonda LRO, indicate con dei quadrati bianchi per facilitare l'individuazione della loro posizione nella porzione di superficie lunare che ha dimensioni di 3,5 per 14 chilometri.




Credit: NASA/Goddard Space Flight Center/Arizona State University

giovedì 2 luglio 2009

Un buco nero di medie dimensioni


Osservazioni condotte col telescopio spaziale XMM-Newton dell'ESA che opera nella regione X dello spettro elettromagnetico hanno conentito di accertare la presenza di un buco nero di circa 500 masse solari nella galassia ESO243-49. La scoperta, frutto del lavoro di un team di astronomi guidato da Sean Farrell, è stata resa possibile grazie alla rilevazione dell'intensa emissione X proveniente dalla materia risucchiata dal buco nero. E' la prima volta che viene scoperto con buona certezza un buco nero di massa pari a qualche centinaia di masse solari. Fino ad oggi, infatti, erano noti solo buchi neri supermassicci, di massa pari a milioni o anche miliardi di masse solari e ospitati al centro delle galassie, oppure buchi neri di non più di qualche decina di masse solari che si formano a seguito del collasso gravitazionale di stelle massicce giunte al termine del loro ciclo evolutivo. Gli astronomi avevano già avuto qualche evidenza osservativa sulla possibile presenza di buchi neri di taglia intermedia al centro di ammassi globulari, enormi agglomerati di centinaia di migliaia di stelle che popolano le regioni periferiche delle galassie. Fino ad oggi, però, mancava la prova definitiva della loro esistenza, per altro molto importante ai fini della verifica dei modelli teorici che descrivono l'evoluzione dei buchi neri supermassicci che si ritiene si formino per aggregazione successiva di quelli di taglia intermedia. La scoperta di HLX-1, così è stato identificato il buco nero osservato da XMM-Newton, è dunque molto importante, andando a costituire un tassello fondamentale per la comprensione di come si formano ed evolvono i "mostri" che alloggiano al centro delle galassie.

Credit: Heidi Sagerud